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GnoccaforumMULTA A MAZZANO PER ORDINANZA ANTI PROSTITUZIONE

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Offline newscopator

Stasera festeggierò a modo mio con Aida.
Penso di farmela in strada e chiuderle la bocca a modo mio :-)

EscortDirectory

Offline Contadino

newscopator, il link non funziona..

Offline newscopator

Annullare una multa anti-prostituzione? È accaduto a Verona.
Un giudice di pace è intervenuto sulla legittimità di una multa data ad un automobilista per violazione del regolamento di polizia urbana. Infatti, dopo che la Corte Costituzionale ha bocciato l’ordinanza del sindaco Flavio Tosi del 2009, l’amministrazione scaligera aveva inserito una norma specifica anti-prostituzione nel regolamento di polizia urbana. Il malcapitato automobilista era stato beccato mentre «concordava prestazioni sessuali con persona che per l’atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento, ovvero per le modalità comportamentali, esercitava l’attività di meretricio» a bordo della propria vettura. L’automobilista, deciso a fare ricorso, ha ottenuto l’annullamento della sanzione di 516 euro perchè secondo il giudice di pace veronese le norme del regolamento di polizia urbana non possono essere contrarie alla legge e soprattutto non possono ledere il principio di libertà.

In poche parole la sentenza dice che «nessuna legge vieta (e per converso, quindi, ammette) l’attività di meretricio; di contro, nessuna legge autorizza l’Autorità amministrativa a poter disporre della sessualità dei singoli e nessuna legge conferisce a essa il potere di regolamentare la prostituzione». L’avvocato Annamaria Alborghetti, presidente emerito della camera penale padovana, sottolinea l’inadeguatezza del regolamento «Esistono problemi molto seri legati alla prostituzione, come quello dello sfruttamento e della tratta, ma in generale le iniziative in questo campo dei sindaci sembrano finalizzate unicamente all’esigenza di dare un’immagine del “facciamo qualcosa”».



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Offline newscopator

Ho fatto copia e incolla dell'articolo.
In pratica un giudice di pace di verona ha annullato ad aprile la multa ad un automobilista, su questa base la mia è stata annullata.
Ciò significa che regolamenti comunali che prevedono questo tipo di sanzione sono del tutto illegittimi.
Però contano proprio sulla vergogna per l'automobilista che avrà timore a fare ricorso e passare per "puttaniere".
In realtà sono multe contestabilissime.
Se serve a qualcuno una mano, a disposizione

Offline Francostars

Ciao. Ho letto solo adesso questo thread.
Congratulazioni!
Quindi se ho ben capito, nella tesi difensiva in merito hai scritto il fatto dell'articolo a riguardo della Sentenza del Giudice di Pace di Verona, oppure hai presentato il testo integrale della detta pronuncia?
Quasi non riesco a crederci!
Qualche anno fa, ho sentito che il Gidice di Pace di Brescia ha bocciato molti ricorsi proprio contro la suddetta normativa locale di Mazzano. Comunque, come ho sempre dichiarato, questi Regolamenti di Polizia Locale anti prostituzione non sono conformi ai principi generali dell'Ordinamento, se tali prevedono un divieto OTR vasto ed indiscriminato, siccome in tal caso non si tutela affato in via immediata e principale l'igiene pubblica sulle caratteristiche particolari del relativo luogo e soprattutto essi stessi non possono disciplinare la pubblica sicurezza e/o l'ordine pubblico. Non per nulla il Sindaco emana le Ordinanze Sindacali sulla sicurezza urbana non come amministratore del proprio Ente locale, ma come Ufficiale del Governo.
Adesso: "Tolleranza zero contro i Sindaci Sceriffi", ricordando in via principale che gli ultimi provvedimenti suddetti, sono illeciti se tutelano problematiche causate direttamente ed unicamente dalla prostituzione su strada, poichè queste non possono essere di carattere temporaneo ed eccezionale, ma permanente ed ordinario e la sola data di scadenza, indicata sul testo dei relativi decreti, non e' sufficiente a giustificare i citati parametri.

Offline Silent84

Si può avere un link funzionante oppure un modo per reperire una bozza di ricorso a riguardo?

Offline Francostars


Si può avere un link funzionante oppure un modo per reperire una bozza di ricorso a riguardo?

Puoi trovare le spiegazioni in merito sul mio sito, da cui prendere spunto.

Offline O.I.O.P.

Sai qual'è il problema Francostar, che molti pizzicati da queste ordinanze hanno famiglia e preferiscono pagare all'oscuro senza far saper alla consorte ciò che è successo, e capirai rovinare una famiglia...

Offline Francostars


Sai qual'è il problema Francostar, che molti pizzicati da queste ordinanze hanno famiglia e preferiscono pagare all'oscuro senza far saper alla consorte ciò che è successo, e capirai rovinare una famiglia...

Lo so benissimo. Però, chi non ha questi problemi ha il dovere di ribellarsi.

Offline O.I.O.P.



Sai qual'è il problema Francostar, che molti pizzicati da queste ordinanze hanno famiglia e preferiscono pagare all'oscuro senza far saper alla consorte ciò che è successo, e capirai rovinare una famiglia...

Lo so benissimo. Però, chi non ha questi problemi ha il dovere di ribellarsi.

Sono d'accordo con te!

Offline newscopator

Eccomi qua ragazzi, è vero, almeno noi che non abbiamo famiglia dobbiamo contestare queste multe.
La sentenza del Giudice di pace che ha sancito l'illeittimità di questi regolamenti comunali è la numero 1980 del 24 settembre 2014, Giudice dr.ssa Edi Maria Neri.
Non è in ogni caso isolata.

Da anni, nel nostro Paese, gli Amministratori locali cercano di arginare le manifestazioni del
degrado connesse al fenomeno della prostituzione per strada.
Le cronache sono zeppe di notizie di provvedimenti assunti dai Sindaci del Bel Paese
intenzionati a restituire ai propri concittadini aree cittadine acquisite dalla macro e micro criminalità e
dal sottobosco umano che fruisce, talora anche nelle ore diurne, dei favori di quelle che un’Italia
pudibonda chiamava mondane o passeggiatrici.
Il Giudice di Pace di Verona1 è recentemente intervenuto sulla legittimità d’una sanzione
amministrativa pecuniaria elevata ad un automobilista Scaligero per violazione delle previsioni
contenute nel Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Verona, in toto recettivo del testo di
un’ordinanza Sindacale di un paio d’anni prima2, chiaramente finalizzate a contrastare il mortificante
fenomeno dell’offerta di prestazioni sessuali en plein air, sotto agli occhi di tutti, minori compresi, e del
diffondersi del contesto di degrado che ordinariamente contorna tutto ciò che è illecito.
Lo sventurato ricorrente era stato pizzicato dalla solerte Polizia Municipale, mentre, a bordo
della propria vettura, “concordava prestazioni sessuali con persona che per l’atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento,
ovvero per le modalità comportamentali, esercitava l’attività di meretricio”.
Un caso del genere, ovviamente, soprattutto a chi sia un liberale ed abbia il senso dell’ironia,
risulta ghiotto.
1 Sentenza n. 19802014 del 2492014 Edi Maria Neri.
2 Ordinanza Sindacale 32009
2
Francamente, se è possibile in un commento a sentenza esprimere un rincrescimento
individuale, chi scrive rimpiange di non essere stato difensore del povero concittadino Veronese,
giacché è certo che la redazione del ricorso sarebbe stata fonte di particolare diletto: al Collega che ha
avuto la fortuna di ricevere quell’incarico va la più sincera invidia del sottoscritto.
Il ricorso dispiegato avverso il provvedimento irrogativo della sanzione contiene la più
immediata contestazione – che istintivamente si ha l’impulso di sollevare – circa la fondatezza
dell’accertamento, giacché viene da chiedersi in che modo l’attentissimo Vigile Urbano sia riuscito ad
identificare in una – presumibilmente rapida – conversazione tra un guidatore ed una signorina discinta
in piedi a bordo strada una contrattazione per un amplesso.
Occorre confessarlo: la tentazione di svolgere un’istruttoria sul punto sarebbe grande, poiché
sicuramente feconda, vuoi in un senso, vuoi in un altro.
Oltre che su questa prima censura, l’opposizione è stata incentrata su un altro aspetto: il
ricorrente, infatti, ha contestato la legittimità non già del provvedimento recante la sanzione, ma del
Regolamento di Polizia Urbana in sé, lamentando come questo non potesse essere assunto con un tale
contenuto.
In sostanza, la censura s’è appuntata in modo indiretto, per il tramite di quella che era una sua
derivazione, sulla delibera comunale che ha stabilito le sanzioni.
Il Giudice di Pace, in una sentenza assai ben argomentata e molto puntuale, ha accolto le
conclusioni del ricorrente, affrontando la tematica in maniera assai precisa, per cui vale la pena di
analizzare il provvedimento che ha reso.
Ebbene, la previsione posta dal Comune di Verona alla base della sanzione è rappresentata
dall’art. 28 ter del già citato Regolamento, rubricato Atti contrari al decoro urbano, il quale dispone che “In
tutto il territorio comunale e in particolare nei quartieri periferici densamente abitati e lungo le principali strade che
conducono al centro città, sulla pubblica via è vietato:
a) contattare soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada o che per
l’atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento ovvero per le modalità comportamentali manifestano
3
comunque l’intenzione di esercitare l’attività consistente in prestazioni sessuali;
b) concordare con gli stessi prestazioni sessuali sulla pubblica via;
c) assumere atteggiamenti, modalità comportamentali ovvero indossare abbigliamenti
che manifestino inequivocabilmente l’intenzione di adescare o esercitare l’attività di meretricio,
occupando gli spazi pubblici, in particolare i marciapiedi, non consentendone la fruizione o
l’accesso”.
Nella propria sentenza, il Giudice Scaligero osserva preliminarmente come, nell’esame della
questione, si dovesse tenere in cale la pronuncia n. 1152011 resa dalla Corte Costituzionale.
In questa pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54 co. 4 del
d.lgs. 2672000 recante Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, così come sostituito dall’art. 6
del d.l. 922008 convertito con modifiche dalla l. 1252008 “nella parte in cui comprende la locuzione
«, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti»”.
Il testo normativo su cui s’è pronunciata la Corte Costituzionale stabiliva che il Sindaco, “quale
ufficiale del Governo”, potesse adottare “con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti,
nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.
Correttamente, il Giudice di Pace di Verona rileva come, a seguito del pronunciamento del
Giudice delle Leggi, dunque, il potere per il Primo Cittadino di adottare provvedimenti utili a
scongiurare rischi per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana sia ora limitato alla sola adozione di
provvedimenti “contingibili e urgenti”, cioè sussista solamente per i casi di urgenza indifferibile.
A seguito della sentenza che ha dichiarato la disposizione del TU sugli Enti Locali in contrasto
con la Costituzione – evidenzia il Giudice Veronese – è venuta meno, dunque, per il Sindaco la capacità
di assumere, in tema di incolumità pubblica e sicurezza urbana, deliberazioni “a contenuto normativo
ed efficacia a tempo indeterminato”.
Nella propria decisione, il Giudice di Pace di Verona compie, in primo luogo, un’approfondita
disamina della sentenza della Corte Costituzionale, pertanto rammenta come i limiti imposti alla potestà
4
dei Primi Cittadini del nostro Paese si giustifichino nelle previsioni contenute negli artt. 3, 23 e 97 della
Costituzione.
La disposizione che rendeva il Sindaco una sorta di legislatore cozzava in primo luogo con la
previsione contenuta all’art. 23 Cost., il quale prevede che nessuna prestazione personale o patrimoniale
possa essere imposta, “se non in base alla legge”.
La Corte Costituzionale, riferendosi ai provvedimenti assunti dai Sindaci sulla base della
disposizione sulla cui corrispondenza rispetto alla Costituzione è stata chiamata a pronunciarsi, ha
precisato come questi, “per la natura delle loro finalità (incolumità pubblica e sicurezza urbana) e per i
loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio)”, incidano “sulla sfera generale di libertà dei
singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare
e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in
maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati”.
Una volta evidenziato tale aspetto, il Giudice delle Leggi ha ricordato come la nostra Carta
Costituzionale sia “ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità”, così che,
dunque, si rivela impossibile imporre ad altri, se non mediante una legge, una qualsiasi prestazione,
personale o patrimoniale che sia.
L’assenza del predetto limite al potere dei Sindaci, pertanto, viola la chiara riserva di legge
prevista dalla Costituzione, dal momento che questa, ancorché certamente relativa, così che vengono
lasciati all'autorità amministrativa “consistenti margini di regolazione delle fattispecie in tutti gli ambiti
non coperti dalle riserve di legge assolute”, comunque “non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può
costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero

Offline newscopator

che offra un “fondamento, formale e contenutistico” al potere sindacale di ordinanza, si verifica una
cesura nella “linea di continuità” espressiva del sistema di checks and balances che anima e sorregge
l’impianto Costituzionale Italiano, rappresentativo dei principi illuministici e liberali della divisione dei
poteri risalenti al pensiero di Montesquieu e degli altri teorici della democrazia moderna.
Rileva la Consulta come “l’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non
consente […] che l'imparzialità dell'agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento
effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge”, con derivante violazione della disciplina stabilita
dall’art. 97 Cost.
Da ultimo, la previsione legislativa di cui all’art. 54 co. 4 del d.lgs. 2672000 che a ha generato il
6
provvedimento contestato dinanzi al Giudice di Pace contrasta, pure, con l’art. 3 della Carta
Costituzionale della Repubblica, poiché “l'assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere
conferito ai Sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità
della Pubblica Amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge,
giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle
numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei Sindaci”.
Un simile risultato – ammoniva la Corte Costituzionale – non potrebbe essere ritenuto come
una manifestazione “di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete
situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera
generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai
Sindaci, senza base legislativa”.
Mancando un riferimento normativo comune, i Primi Cittadini, con le proprie diverse
ordinanze, potrebbero, “come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato”, generare
“restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici”, le quali, proprio per il fatto di patire il
difetto di non derivare da “una matrice legislativa unitaria”, non riescono ad essere assoggettate ad un
giudizio sul rispetto del principio di eguaglianza, proprio perché tale carenza fa sì che non si possa
“verificare se le diversità di trattamento giuridico siano giustificate dalla eterogeneità delle situazioni
locali”.
Insomma, il messaggio è chiaro: il potere esecutivo, nelle sue articolazioni tutte, è tenuto a dare
contenuto alle scelte politiche della legislazione, la quale risale, direttamente od indirettamente, al
Parlamento, che è l’organo espressivo della sovranità popolare.
I Sindaci, dunque, facciano i Sindaci, ed, il Legislatore, lo faccia il Legislatore, così che non
esiste per il Primo Cittadino il potere di adottare provvedimenti a contenuto latamente legislativo.
Una volta fissato ed esplicitato tale principio, il Giudice di Pace di Verona correttamente rileva
come la norma posta dal Comune alla base della pretesa punitiva nei confronti del cittadino, tuttavia,
non fosse un’ordinanza del Sindaco, sulla cui illegittimità – evidentemente – non era in alcun modo
7
consentito nutrire dubbi, bensì, per l’appunto, un Regolamento comunale.
Quid juris? La soluzione balza agli occhi e consiste nel ritenere il rilievo come del tutto
inconferente: l’attività riservata al Giurista è quella sopraffina dell’ermeneutica, così che occorre,
ovviamente, ricavare una regola dalle decisioni dei Giudici. La Corte Costituzionale ha chiaramente
posto le basi per rintuzzare un’eccezione come quella in esame, giacché non si riesce a comprendere
come potrebbe ritenersi legittimo per il Consiglio Comunale di ergersi a concorrente del Parlamento,
laddove chiaramente ciò è proibito al Sindaco.
Se la Consulta ha precisato come il potere esecutivo – al di fuori dei casi di urgenza – sia
vincolato a dare seguito ad un indirizzo fornito dal potere legislativo, è evidente come non possa certo
essere un gioco di prestigio a mettere in crisi o solo scalfire una regola così chiaramente espressa.
Il Giudice Veronese, invece, ovviamente, accoglie il ricorso dell’automobilista, ma lo fa, sia
fondandosi sul rilievo qui esposto – che, peraltro, onde fornire un quadro normativo il più possibile
articolato e complesso, integra altresì con un richiamo a quanto previsto dalla l. 6891981 all’art. 1, co.
1, ove è stabilito che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione” – sia evidenziando un aspetto
diverso ed ulteriore: nel proprio provvedimento, il Giudice di Pace, richiamando quanto chiarito dalla
Corte di Cassazione3, secondo cui “i regolamenti disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici
mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge”, ricorda come l’art. 4 delle Preleggi,
rubricato Limiti della disciplina regolamentare, al co. 1, stabilisca come i regolamenti non possano
“contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”.
Oltre al principio per cui il sistema dei poteri dello Stato è tale per cui le scelte di campo
fondamentali competono a quelle sedi che sono in grado di risalire al depositario della sovranità che è il
Popolo, ne viene esplicitato un altro, che è quello per cui, laddove il legislatore si sia espresso, il potere
esecutivo non può, nell’esercizio della potestà normativa subprimaria, andare contro le scelte da quello
compiute, dovendo, al contrario, dare a quelle esecuzione e seguito.
3 Cass. SSUU, IDX142ff257dbd619894fff6ef509d878d9 Cerca Index
8
Dopo tale premessa, il Giudice Veronese, prima evidenzia come la norma contestata al
ricorrente “non regola né attua alcuna legge, bensì innova direttamente lo stesso ordinamento, in palese
e grave spregio al vincolo di subordinazione della potestà regolamentare rispetto a quella legislativa”,
poi, richiamando dei precedenti giurisprudenziali4, ricorda come, nel nostro Paese, la prostituzione in
sé, ovverosia il mercimonio delle prestazioni sessuali, sia attività lecita.
Vale la pena di chiarirlo: la l. 751958 la notissima legge Merlin, punisce con pena “l’esercizio
delle case prostituzione”, quindi espone a sanzione penale lo sfruttamento della prostituzione e
l’agevolazione di questa attività, ma non impedisce in sé e per sé l’attività del meretricio.
Chi si prostituisca viene sanzionato in via amministrativa, secondo le previsioni di cui all’art. 5,
laddove, “in luogo pubblico od aperto al pubblico”, inviti “al libertinaggio in modo scandaloso o
molesto”, oppure segua “per via le persone, invitandole con atti o parole al libertinaggio”.
Il Giudice Scaligero, dunque, non solo rileva come il Comune di Verona abbia agito al di fuori
del proprio raggio d’azione, sconfinando nell’ambito di pertinenza d’altro potere dello Stato, ma, pure,
censura l’introduzione d’una previsione che crea impedimento allo svolgimento ed alla fruizione di
un’attività riconosciuta dall’ordinamento giuridico come lecita.
In proposito, si legge nella sentenza qui in commento: “nessuna legge vieta – e per converso,
quindi, ammette – l’attività di meretricio; di contro, nessuna legge autorizza l’Autorità amministrativa a
poter disporre della sessualità dei singoli e nessuna legge conferisce ad essa il potere di regolamentare la
prostituzione”.
In sostanza, la sentenza in commento evidenzia come il Regolamento adottato dal Comune di
Verona fosse invalido per due ordini di ragioni: per un verso mancava la capacità per un organo diverso
dal Parlamento di innovare il sistema con l’introduzione d’una nuova disciplina, giacché solo all’Organo
depositario della sovranità popolare compete di poter fornire degli indirizzi di tipo politico nel senso
più alto del termine, per altro, quindi, – sotto un profilo eminentemente tecnico –un ulteriore vizio nel
provvedimento della città di Verona derivava dal fatto che ad una norma secondaria è proibito di
4 Inter alias, Cass. Civ., Sez. Trib., IDXc8910075f19d56b891a55e4dbd5bd042 Cerca Index
9
contrastare con una di tipo primario.
Laddove la prostituzione è un’attività lecita, quindi, è preclusa la possibilità di porre delle regole
che, fondamentalmente, creino ostacolo od intralcio allo svolgimento di tale libertà, così conculcando
un diritto.
Stante, dunque, l’invalidità del Regolamento Comunale, il Giudice di Pace dispone di
disapplicarlo e di annullare il provvedimenti sanzionatorio irrogato in base ad esso, pervenendo anche –
prassi, invero, quasi sconosciuta ai Giudici di Pace del Bel Paese – alla condanna dell’Amministrazione
rea di aver adottato un atto invalido a rifondere al ricorrente le spese del giudizio.
Tutto ciò ci costringe a guardarci allo specchio ed a domandarci come mai, in un Paese che,
evidentemente, della prostituzione fruisce – altrimenti il fenomeno, per la basilare legge della domanda
e dell’offerta, non vi sarebbe – ma che vorrebbe – giustamente – che la stessa non avvenisse per strada,
si debba demandare il compito di risolvere la questione ai Sindaci, i quali si debbono impegnare in una
guerra, nella quale vengono inviati con armi spuntate.
La Corte Costituzionale, nel tirare le orecchie agli incolpevoli Primi Cittadini che, cercando di
rispondere alle richieste dei propri amministrati, tentano di sopperire alle mancanze d’un Legislatore
ignavo, ricordando loro che è il Parlamento a dover agire, pare aver parlato a suocera, affinché nuora
intenda.
Il fatto è che le Camere paiono non aver affatto recepito il messaggio ed ognuno di noi, quando
gli va dritta, è costretto a vedere nelle periferie cittadine avvilenti spettacoli, mentre, quando è
sfortunato, rischia pure di trovarsi sanzionato per aver approcciato una lucciola, quando, magari,
invece, s’era solo perso per strada e stava chiedendo come tornarsene a casa propria.
Non va sottovalutato, poi, un altro aspetto rilevante: quanti sono i cittadini che, raggiunti da un
verbale come quello che ha colpito il cittadino che ha adito il Giudice di Pace di Verona, hanno poi il
coraggio di impugnarlo?
Chi scrive, visto che è stato sincero in principio, non può che esserlo anche in chiusura,
pertanto confessa liberamente che, se capitasse a lui, proprio malgrado, pur di evitare l’imbarazzo di
10
vivere le occhiatine maliziose dei Colleghi che si danno di gomito, metterebbe mano al portafoglio e
pagherebbe, moneta sonante, la sanzione.
Il sincero auspicio è che il Legislatore riscopra il proprio ruolo e divenga espressivo d’una
volontà popolare che oramai è palese, giacché sono ben pochi in realtà coloro che possono considerare
l’attuale situazione come quella migliore.
La riapertura delle case d’appuntamento viene avvertita oggi come una scelta capace di
provocare la fine del degrado che vivono le aree dove si esercita la prostituzione clandestina.
L’emersione del fenomeno, infatti, consentirebbe di ridurre gli introiti per la malavita che
domina il fenomeno, sarebbe in grado di consentire un controllo sanitario su chi si prostituisce e
certamente assicurerebbe a queste persone delle condizioni migliori.
Nel libro Lettere dalle case chiuse, un’opera scritta a quattro mani da Lina Merlin e Carla Voltolina,
in una lettera inviata alla Parlamentare Italiana, una prostituta così sintetizza la propria vita nel 1955:
«Centoventi uomini al giorno, centoventi bidet. È così da tutta la vita».
Il dramma umano che si esprime in tali parole è evidente e tocca nel profondo. Le donne che,
all’epoca dell’entrata in vigore della legge Merlin, si prostituivano nelle case di tolleranza erano schiave
in un sistema che osservava e non interveniva: tollerava, appunto.
Oggi, malgrado i buoni propositi, la situazione non è, forse, molto diversa.
Se vogliamo essere cinici, possiamo osservare come, nei parcheggi e nelle strade secondarie, il
bidet certamente non ci sia.
Le donne e gli uomini che stanno sul marciapiede vivono nella clandestinità, pertanto eventuali
condizioni di sopruso e violenza di cui fossero vittime non hanno modo di emergere con facilità.
L’insopportabile immobilismo del Parlamento, dunque, è connivenza con una situazione di
decadenza ed avvilimento che la cittadinanza non ammette, tant’è vero che pretende delle risposte da
soggetti facilmente identificabili come i Sindaci, i quali agiscono non per velleità di onnipotenza, ma
come responsabili destinatari di istanze che provengono da parte dei cittadini.
È giunto il tempo, pertanto, per il Legislatore di raccogliere il monito lanciato dalla Corte
11
Costituzionale e dalla popolazione, rinnovando un ambito legislativo che oggi non sa offrire risultati.
Su La Repubblica del 2 aprile 1998, in un articolo dal titolo La crociata di Merlina la “rossa”,
commentando come, a distanza – allora – di quarant’anni dall’introduzione della legge Merlin, si fossero
susseguite diverse iniziative volte a superare i divieti da quella introdotti, Gianni Corbi, scriveva: “Le
varianti sono numerose, ma non si sfugge alla sensazione che dietro questi propositi ci sia la tentazione di ripristinare, tali
e quali, quei "mirabili casini" di cui molti sembrano avere ancora oggi una struggente nostalgia”.
Considerando come, ai quei tempi, la maggiore età si raggiungeva a 21 anni5, onde poter avere
nostalgia dei bordelli, dunque, occorrerebbe avere almeno un’ottantina d’anni. Il sottoscritto corre per
le trentatré primavere, pertanto è evidente come possano esservi altre ragioni per ritenere che sia giunto
il tempo per cui il Legislatore affronti in modo maturo e moderno la disciplina d’un fenomeno che non
interessa più la moralità pubblica, la quale – a Dio piacendo – è oramai un residuato del passato, un
inservibile lascito del tempo che fu, relegato in soffitta, rimpiazzato dal convincimento interiore di
ciascuno, da idee proprie e maturate da parte di ognun

Offline Silent84

Interessante. Bisogna prendere spunto per un eventuale ricorso! Non si sa mai!!!

Offline O.I.O.P.

È cmq un percorso lungo non così semplice, non è detto si vinca, se non si ha nulla da perdere intendo famiglia giusto farlo

Offline newscopator

articolo 7 L. 75 / 1958: è fatto divieto agli agenti di p.s. di procedere ad alcuna forma diretta od indiretta di registrazione di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare le prostituzione: non si capisce dunque come gli agenti intervenuti possano affermare che si trattasse di una “nota meretrice”;

Anche la legge 75 del 1958 vieta di indentificare le prostitute: sono gli agenti di polizia locale a commettere un illecito nel momento in cui mettono a verbale che la meretrice era "nota agli operatori": non esiste un albo delle prostitute, schedarle è vietato dalla legge.
Inoltre la legge 75 del 1958 vieta le case di appuntamenti, ma non la prostituazione, che è dunque ammessa.
Capite dunque che i Comuni hanno messo su un bel business con queste sanzioni, ben consapevoli che pochissimi fanno ricorso per pudore, vergogna etc..

 




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